C‘è un motivo fondamentale che ci ha spinto ad organizzare questa occasione di incontro e di discussione sull'Università.

Noi avvertiamo, fortemente, la necessità di far si che si apra un confronto ampio, aperto ad una partecipazione di tutta la società umbra sul ruolo e lo stato dell'ateneo perugino. Una discussione che varchi i confini del recinto accademico e dell'ambito degli addetti ai lavori, dei circoli chiusi e dei cosiddetti poteri.

L'Università di Perugia è infatti patrimonio rilevante dell'intera collettività regionale, della sua storia, della sua evoluzione e del suo futuro: da come essa opera e si evolve dipendono in parte significativa alcune modalità di azione e di evoluzione della nostra comunità.

Sappiamo di fare affermazioni che i più ritengono scontate, che formalmente vengono da tutti sostenute. Ma alla affermazione formale non segue poi la realtà dei fatti: dall'esterno, dal nostro, e dei più, angolo di visuale l'Ateneo appare come una istituzione in larga parte chiusa, che ragiona di se da se, che assume decisioni, che vanno ben oltre se stessa per le loro conseguenze, da se. Mancano momenti di confronto reale con soggetti esterni, non c'è un tessuto di ambiti e di percorsi codificati e stabiliti che consentano di definire in modo condiviso e partecipato orientamenti e scelte. Eppure non sono mancate le occasioni, gli stimoli e le disponibilità per poterlo fare.

Pare che i percorsi di definizione delle scelte, la stessa azione di determinazione degli atti di governo si vadano sempre più evolvendo e siano confinati in una sorta di ritualità degli organi e del loro agire, chiamati più a formalizzare che a definire, e che finiscono per relegare ai margini perfino alcune componenti interne all'Ateneo, fondamentali per la sua vita, come il personale tecnico e amministrativo e gli studenti.

Non vogliamo essere fraintesi: a noi sta a cuore sinceramente l'autonomia dell'Università, presidio plurisecolare della libertà di pensiero e del pluralismo culturale; sosteniamo che l'autonomia però non può essere confusa con la separatezza e con l'isolamento ma deve al contrario essere la base di un sempre più ampio e ricco confronto e di una presenza e partecipazione attiva alle scelte della realtà circostante. E questo oggi non è.

Dicevamo dell'importanza dell'Università, vogliamo tornarci con più precisione e al di là della banalizzazione dell'affermazione, dietro la quale spesso si nasconde una accettazione acritica e priva conseguenze logiche. Ci vogliamo tornare senza avere la pretesa di dettagliare tutto, ma con l'intenzione di indicare alcuni ambiti che a noi sembrano più rilevanti e influenti.

L'importanza dell'Università e del suo ruolo per la città e per la regione la vediamo concentrata su quattro filiere: la crescita culturale, la credibilità, lo sviluppo, la economia.

Per crescita culturale intendiamo un apporto costante di nuove conoscenze e nuovi saperi, un costante allargamento delle competenze disponibili e degli ambiti nei quali queste vengono ricercate ed attratte. Ma pensiamo poi ad un dispiegamento di stimoli e di spunti alla animazione e alla intrapresa di attività in ambito culturale. Naturalmente l'Ateneo non è, non può e non deve essere l'unico agente di crescita e di animazione della nostra realtà culturale. La pluralità e la ricchezza degli attori della cultura deve essere ben più ampia e pluralistica. Ma senza dubbio il ruolo dell'ateneo in questo campo, per la vastità dei suoi ambiti d'intervento, per i collegamenti che deve avere con altre realtà territoriali nazionali ed internazionali, per la mole delle sue attività, è senza dubbio determinante in generale e in particolare per tenere sempre aperta una opera di sprovincializzazione, di apertura e di allargamento di ambiti della vita culturale della regione.

Per credibilità intendiamo quella forza attrattiva che una comunità nel suo complesso può avere e tanto più ha oggi, nella nuova situazione determinata dalla comunicazione di massa in tempi reali, quando è insediamento di importanti e credibili siti di produzione, apprendimento e disponibilità di nuove conoscenze e nuovi strumenti tecnologici. Non ci riferiamo qui tanto alle attività produttive, sulle quali ci soffermeremo subito dopo, quanto piuttosto a quel circolo virtuoso che tende a formarsi tra la presenza e la disponibilità di un alto livello culturale e l'insieme delle attività umane, le quali sviluppandosi inducono nuovi bisogni di conoscenze e nuove attività riferite alla loro produzione. Sta in questo circolo virtuoso e nella sua induzione la vera possibilità di crescita sana di un paese avanzato nella qualità del suo vivere e lavorare. Ed è innegabile che per la nostra realtà territoriale uno dei più importanti siti, se non il più importante in questo senso dovrebbe essere l'Ateneo.

Per sviluppo o, per meglio dire, per sostegno e promozione dello sviluppo intendiamo quel complesso di attività di ricerca, di produzione e messa a disposizione di conoscenze e tecnologie, di creazione di competenze e professionalità da mettere in campo per sostenere la comunità regionale nel suo percorso di crescita economica. Naturalmente questo non vuol dire che tutta l'attività in questi campi debba essere, come si usa dire in modo che a me non piace, al servizio del sistema delle imprese e del sistema economico locale. La funzione dell'Ateneo deve avere orizzonti più ampi e non può essere ridotto ad un finalismo angusto. Ma con altrettanta chiarezza va detto che parte considerevole della sua attività in merito, diremmo anzi, parte quantitativamente prevalente va resa sincrona e coerente con le filiere sulle quali la comunità regionale pensa e tenta di costruire la sua crescita economica e con essa la qualità del suo vivere e il suo benessere.

Noi crediamo che, al di là di tante discussioni a volte più ideologiche che di merito, per il nostro paese e, dentro di esso, per la nostra regione, nel confronto creato dal mercato globale e dalla nuova situazione di unità monetaria europea, sia di fatto cessata ogni credibile ipotesi di sviluppo basato su operazioni di carattere monetario così come è in realtà difficilmente ipotizzabile, in una visione strategica, una competizione basata su economie significative a carico del costo del lavoro reale. Il nostro possibile sviluppo non può andare, e comunque non lo vogliamo, in direzione di forme massicce di precarizzazione, di abbattimento della tutela, di minor retribuzione del lavoro. Sarebbe uno sviluppo regressivo e comunque difficilmente realizzabile. Il nostro paese e la nostra regione devono svilupparsi nella qualità, nella qualità delle sue produzioni, delle sue capacità di innovazione, nella loro capacità di essere sempre avanzate nelle conoscenze e nelle tecnologie. E' questa la sostanza degli accordi sottoscritti a livello nazionale e regionale tra Istituzioni e parti sociali. Ma perché queste non siano solo intenzioni o illusioni, perché divengano realtà, c'è la necessità che la capacità di intervento e di produzione in merito facciano un deciso salto in avanti anche nel comparto della formazione e anche nella nostra realtà.

Per economia intendiamo l'impatto diretto della presenza dell'Università sulla vita economica della nostra Regione. L'Università è una delle più grandi "aziende" che operano in Umbria per numero di addetti, per fatturato, per capacità di spesa e per le attività economiche che induce anche per l'affluenza da fuori regione di parte della sua utenza. Non ci soffermiamo qui molto su questo punto perché attiene ad altre comunicazioni. Ma vogliamo affermare in questa sede che la vita economica, le scelte amministrative, la programmazione edilizia, il modo in cui ci si rapporta all'utenza, tutte queste cose influiscono largamente su interessi ed aspettative di consistenti settori della società umbra e perugina in particolare, ne condizionano positivamente o negativamente condizioni di vita e indirizzi di sviluppo. E quindi la "salute" economica dell'Ateneo, la validità delle scelte che compie non si limitano a determinare ricadute al suo interno e vanno lette ed interpretate in questa ottica.

La discussione che con questa giornata vogliamo contribuire ad avviare sta proprio qui, su questi temi e cioè su come l'Ateneo risponde a queste "missioni", su come assolve a queste funzioni e come su queste funzioni interreagisce con la società umbra, le sue istituzione e le sue rappresentanze organizzate.

C'è al riguardo una diffusa opinione generale di insoddisfazione, c'è diffusa la convinzione che l'attuale fase di vita dell'Ateneo non sia tra le sue migliori, tra le più qualificate e produttive.

Questa convinzione traspare di volta in volta sugli organi di stampa, in parti di documenti delle Istituzioni, tramite prese di posizione e dichiarazioni di operatori economici, di associazioni, di forze sociali. E traspare sempre più spesso in opinioni espresse a vari livelli da operatori dell'Università stessa.

Vogliamo guardare dentro a questa opinione, e vorremmo farlo a partire dal tentativo di superare l'ambito episodico e parziale che fino ad oggi ha caratterizzato gran parte di questa discussione. Anche perché episodicità e settorialità rischiano di produrre un coro diffuso di lamentele che però rimangono fini a se stesse, prive di capacità di indurre percorsi risolutivi.

Non vogliamo con questo dire che abbiamo l'ambizione di fare oggi una analisi complessiva, in ogni suo aspetto, della vita dell'Ateneo. Non vogliamo fare una analisi di tutto ma vogliamo tentare di affrontare alcuni problemi ed in particolare quelli che a noi appaiono come i più urgenti, quelli che più incidono sulla operatività della struttura e sui risultati che essa consegue. E vogliamo farlo secondo una visuale propria di una organizzazione sindacale dei suoi campi di intervento e della sua possibile iniziativa.

Un primo problema che vogliamo porre all'attenzione consiste nell'emersione di un fenomeno sempre più vasto di mancanza di attrazione di nuove e qualificate professionalità. L'Ateneo ha in gran parte cessato di attrarre a se le professionalità e le competenze che in campo nazionale rappresentano punte di eccellenza nelle varie discipline. Anzi sembra progressivamente perdere parte di quelle di cui disponeva. Se siamo di fronte ad un fenomeno tanto vasto da preoccupare nel breve periodo lo lasciamo al giudizio degli operatori, ma senza dubbio il fenomeno c'è. Non può e non deve essere sottovalutato: il ridimensionamento in termini di qualità nella ricerca, nell'insegnamento ma anche nella credibilità dell'azione dell'ateneo che ne deriverebbero sarebbe troppo negativo su tutti i piani. Va inoltre rimarcato che, se non affrontato tempestivamente, questo fenomeno rischia di produrre un circolo vizioso difficile da rompere: uscire dai circuiti di circolazione culturale è facile, rientrarvi è molto più difficile.

Perché avviene questo e perché avviene in un ateneo che ha invece una lunga storia di presenze ai massimi livelli ? Cosa c'è che non funziona ? Non attrae la qualità organizzativa, la qualità del lavoro dell'Ateneo, gli spazi di operatività concessi o cos'altro?

O forse manca la volontà di richiamare a se soggetti esterni. E' possibile che cerchie consolidate di reciproci interessi si blindino e tendano a respingere il nuovo e l'esterno. E allora la ricerca delle professionalità e delle competenze da impegnare non avviene sulla base della qualità e ad ampio raggio ma tende a racchiudersi nella ristrettezza della cerchia: lascia spazio solo alla cooptazione non all'allargamento e alla novità.

Va da se comunque che una visione ristretta e localistica tende a danneggiare rapidamente la qualità e inoltre paradossalmente ciò che la collettività si aspetta legittimamente di apporto in termini di apertura e di allargamento di orizzonti si traduce in realtà nel suo esatto contrario, si traduce in un ingombrante caposaldo di provincialismo.

Il secondo problema che vogliamo affrontare è quello della didattica e del rapporto con gli studenti.

Partiamo dalla acquisizione di alcuni dati: l'ateneo perugino, pur avendo un rapporto docenti/studenti superiore alla media nazionale, ha un basso tasso di successo negli studi, un basso tasso di successo negli esami, una durata media del corso di studi di circa otto anni e quindi una altissima percentuale di fuori corso (dati MURST).

Se si escludono i grandissimi atenei, rispetto a sedi universitarie paragonabili per grandezza e per situazione socio-territoriale, Perugia si pone nelle posizioni più basse nella graduatoria nazionale.

Vogliamo chiarire che stiamo parlando dell'essere tra gli ultimi in una valutazione del sistema universitario nazionale che certo non brilla, con il suo scarno 25-30% scarso di laureati rispetto agli iscritti, per un alto tasso di successo!

Noi riteniamo questo stato di cose del tutto inaccettabile e restiamo vivamente perplessi a fronte alla assenza nell'Ateneo di un dibattito e soprattutto di decisioni operative in merito. Diremo, ricorrendo ad una abusata espressione, che il silenzio in merito è forte come un boato.

Chiedersi il perché di una così bassa performance riteniamo sia doveroso per tutti: la didattica, insieme e ancor più della ricerca, rappresenta il fondamento della funzione dell'istituzione e non una delle variabili possibili da combinare variamente.

Ovviamente ci rendiamo conto della difficoltà di entrare nel merito di un problema complesso, che sfugge ad analisi approssimative e che non ha soluzioni semplici, ma alcuni elementi di riflessione vogliamo provare a darli.

In primo luogo ci sembra permanere in larghe fasce una visione statica ed eccessivamente datata del rapporto tra istituzione, didattica e studenti. L'idea di una funzione di mero accertamento a posteriori dei risultati conseguiti dalla preparazione all'esame rimane prevalente e quasi totalizzante. Al contrario di quanto avviene ormai da tempo in altri settori del sistema formativo, non ci sembra svilupparsi significativamente una riflessione e soprattutto una azione rivolta a suscitare, individuare e promuovere le capacità individuali di apprendimento e la promozione di metodi mirati a sviluppare metodologie attente alle propensioni in campo. Sembra che si dia troppo per scontata la fissità della struttura e del suo modo di funzionare, il suo approccio massificato e omologante con la platea dei fruitori e si dia per scontato che l'adeguamento debba essere necessariamente unilaterale da parte di questi, altrimenti scatta l'esclusione. A volte si ha l'impressione che non ci sia la convinzione di ritenere ogni nuovo iscritto all'università come un patrimonio su cui investe non solo l'individuo e la sua famiglia, ma l'intero paese che ha bisogno della sua maturazione culturale e della sua capacità professionale per crescere e svilupparsi, ma si pensi piuttosto alla necessità di proporre percorsi particolarmente selettivi tesi a far affiorare chi riesce a rapportarcisi in qualche modo.

Altrettanto carente ci sembra una seria e efficace azione di orientamento rivolta ad un accertamento serio delle vocazioni individuali. Ovviamente questa non può e non deve essere una funzione svolta esclusivamente dall'Università, ma altrettanto ovviamente essa non può essere, come è attualmente, presente episodicamente e marginalmente. L'orientamento in entrata e durante il primo anno di corso dovrebbe essere finalizzata a contenere il fenomeno assai ampio della scelta sbagliata dell'indirizzo di laurea, foriero di molti casi di abbandono o di allungamento dei tempi di permanenza nell'università per tanti giovani. Le esperienze episodiche, limitate di cui siamo a conoscenza non ci convincono nel loro spessore e nel loro impatto sulla platea interessata.

Ma c'è poi un problema più immediato che ci preoccupa francamente molto. Sentiamo quotidianamente il senso di solitudine, di isolamento di troppi giovani nel loro rapporto con l'università. Non emerge l'idea di sentirsi parte di un progetto, non si sente la solidarietà della partecipazione di altri soggetti a questo progetto, anzi in troppi avvertono una lontananza estrema tra se e le altre componenti del mondo nel quale sono entrati e nel quale devono rimanere in una fase importante e cruciale della loro vita. L'idea di essere un numero anonimo ed ininfluente sulla vita dell'Ateneo è sensazione diffusa e reale. Forse alcune forme di rapporto potevano essere tollerabili in altre fasi storiche ma non pensiamo sia più possibile continuare a non considerare la evoluzione del tessuto sociale, dei modi di vivere e della differenza tra i giovani di alcuni anni fa e quelli di oggi, di come si esprimono e come vivono, di quali linguaggi si servono e quali invece gli risultano estranei, di quello che riescono a fare e di quello che per loro è accettabile e ciò che invece diviene insopportabile.

Su questo problema di carattere generale si inseriscono poi le punte estreme di sbagli più marchiani e immediati.

Corsi di laurea inutilmente appesantiti, discipline insegnate in corsi di laurea diversi esattamente allo stesso modo e con la stessa intensità, mancanza di disponibilità al dialogo, orari e organizzazione generale di corsi che complicano inutilmente i tempi di vita e di studio e sicuramente più tagliati su altre esigenze, regole di gestione del corso disciplinare e di esame inutilmente restrittive e a volte ingiuste. Ed affiorano, li citiamo come punte estreme e limitate fortunatamente, anche atteggiamenti vessatori e a volte ai limiti dell'insolenza, che non andrebbero assolutamente tollerati, così come punte di assenteismo e di scarsa disponibilità alla funzione docente.

Non comprendiamo come possa essere così scarso il coinvolgimento dell'utenza nell'organizzazione della vita delle singole facoltà e dell'ateneo in generale, di fatto limitata alla rituale espressione formale del proprio punto di vista da parte della peraltro sparuta rappresentanza degli studenti negli organi.

Sembra esserci una volontà o comunque una acquiescenza ad una depressione di ogni forma di protagonismo collettivo degli studenti, che non si valuti compiutamente, anzi si veda con ostilità, la opportunità di un loro coinvolgimento e di una loro partecipazione attiva all'organizzazione della vita e del funzionamento della loro università.

E' bene sapere che il declino di iscrizioni all'Ateneo perugino non potrà essere a lungo mascherato da estemporanee e improvvisate attivazioni di corsi "alla moda" o indefinitamente si potrà surrogare alla sua capacità d'attrazione tramite la vivibilità e l'economicità (rispetto ad altre sedi) della permanenza nelle nostre città.

Il terzo problema che vogliamo porre all'attenzione è il rapporto tra Ateneo e attività economiche della Regione, il suo ruolo di supporto allo sviluppo e alla crescita economica.

Anche qui, dobbiamo dire, non vediamo per spessore e quantità qualcosa di soddisfacente.

Significativa l'assenza dell'Ateneo nella costruzione, nella discussione delle principali scelte di programmazione sia più direttamente connesse alle attività economiche, sia rivolte alle filiere più generali come il welfare, le riforme istituzionali, lo sviluppo dell'occupazione, etc.

Nelle occasioni in cui poi l'Università è direttamente coinvolta, vedi il caso della sanità e della riforma del servizio sanitario regionale, il suo ruolo è stato limitato alla rappresentazione dei suoi interessi e non a dare un contributo tecnico e scientifico per meglio qualificare il dibattito e contribuire alla individuazione delle soluzioni migliori e più funzionali.

Del tutto episodico e scarso poi il rapporto tra l'Università e il sistema delle imprese. In termini di supporto di conoscenze, di sostegno alla qualificazione, di crescita tecnologica, di aiuto alla crescita organizzativa, etc. niente di significativo o comunque di spessore tale da far avvertire la presenza di una vitalità tecnico-scientifica a disposizione, da far percepire la disponibilità di un ulteriore strumento, di una ulteriore leva di crescita.

Le stesse scelte di programmazione, le scelte sull'assetto dell'Ateneo non sembrano coerenti con i principali campi di attività economica che operano nel territorio, con le loro ipotesi di sviluppo e crescita, con i possibili fabbisogni formativi. Anzi sembrano prescinderne ampiamente. A titolo di esempio e facendoci carico di una certa approssimazione, vogliamo dire di dove sono distribuite e concentrate le risorse professionali e scientifiche dell'Ateneo, e cioè quanti docenti sono presenti e su quali discipline operano e, di conseguenza, su quali filiere sono concentrate le risorse umane, finanziarie, le strutture.

Dei 1100 docenti che operano nell'Ateneo, che non sono poca cosa, circa il 30% sono concentrate sulle discipline giuridico- letterarie, il 23% sull'area medica, che sale al 29% sommando l'area medica con l'area veterinaria. Il 60% circa della docenza è dislocata sulle filiere giuridico-letteraria e medica. I docenti che operano nell'area di ingegneria sono il 9,5%, mentre quelli riferibili all'area di Scienze rappresentano il 17%. Infine le discipline economiche si attestano sul 4,6%.

Dobbiamo rilevare, ripeto con approssimazione ( ad esempio nelle discipline umanistiche sono presenti alcuni corsi di laurea rivolti alla costruzione di competenze di buon contenuto innovativo), che il grosso delle risorse intellettuali dell'Ateneo sono presenti e svolgono le loro funzioni di ricerca e di didattica su filiere del tutto non coerenti con le ipotesi di sviluppo regionale ( e diremmo nazionale) ed anzi sono concentrate sui segmenti del mercato del lavoro regionale dove si manifesta e già da tempo una vistosa sofferenza occupazionale e dove è difficilmente ipotizzabile uno sviluppo utile o semplicemente un qualsiasi sviluppo.

Con altrettanta chiarezza dobbiamo dire che non ci è possibile dare una valutazione positiva sulla qualità dei rapporti tra Ateneo e forze sociali. Anzi dobbiamo constatare che tali rapporti sono di fatto quasi del tutto assenti.

Manca un qualsiasi tipo di confronto tra forze sociali e Ateneo sulle sue scelte programmatiche, sulla sua attività. Quello che avviene ormai da tempo con tutte le altre Istituzioni umbre ed anzi va consolidandosi, la definizione e l'attivazione di percorsi di concertazione, per l'Università non avviene. Ne consegue il fatto che manca un qualsiasi ambito in cui definire cosa la società civile si aspetta dall'Università, cosa vorrebbe che facesse, dove si potrebbero costruire percorsi comuni, come definire coerenze e sinergie.

Noi abbiamo ripetutamente rilevato questa mancanza ma non abbiamo avvertito una reale disponibilità a superarla. Lo stesso accordo siglato ormai tre anni fa tra Ateneo e CGIL CISL UIL, che poteva rappresentare un passo in questa direzione, è di fatto rimasto inapplicato.

In questa situazione ovviamente non può meravigliare che non ci sia coerenza e sintonia tra programmazione regionale, tra filiere di impegno sulle quali opera la comunità regionale e programmi e attività dell'Ateneo.

E' se questo è già di per se è fatto fortemente negativo, ancor più lo diventa oggi a fronte della riforma del sistema della formazione. La scelta di concentrare ampie competenze nella definizione del nuovo sistema integrato formazione-istruzione in ambiti regionale e locale, di costruirlo con un ampio coinvolgimento delle forze sociali, che sono le destinatarie e le utilizzatrici di ciò che il sistema produce, richiede organicamente dialogo e collaborazione, pena la sua totale irrealizzabilità.

I primi atti compiuti su questa nuova esperienza dobbiamo dire che sono tutt'altro che rassicuranti. ( caso IFTS)

Il quarto problema che vogliamo segnalare riguarda l'assetto nella città e nel territorio regionale delle strutture fisiche dell'Ateneo. In questa comunicazione ci limiteremo a far cenno ad alcune scelte di ambito regionale, dato che Riccardo tratterà delle questioni connesse alla città di Perugia.

Abbiamo visto in tempi recenti una espansione in ambito regionale delle strutture dell'Ateneo ed altre sono annunciate. Vorremmo dire subito che non condividiamo la scelta di localizzare singoli corsi di DU in alcuni centri minori della nostra regione.

Non ci convince questa scelta per due ordini di motivi. In primo luogo sul versante della funzionalità dell'Ateneo. L'ateneo ha problemi consistenti di risorse e di ottimizzazione del suo uso: la disseminazione delle sue strutture porta ad un aggravio di costi per le ovvie conseguenze di riproduzione e duplicazione di strutture e servizi. Ne è ipotizzabile che l'utenza che farà uso di tali localizzazioni sia una utenza minore che non ha diritto ad utilizzare, ad esempio, biblioteche mense e quant'altro.

Inoltre penso nessuno abbia una visione così ristretta della funzione universitaria e della sua vita da pensare che essa è riconducibile alla mera disponibilità di un ambito fisico dove docenti e studenti fanno lezione ed esami. Come queste localizzazioni saranno in grado di garantire a chi vi opera le necessarie strutture per fare ricerca, per disporre di ulteriori strumenti didattici, di interloquire con le altre parti dell'Ateneo, di socializzare e far parte a tutti i livelli di una Università? E in questo contesto, saranno queste localizzazioni in grado di attrarre presenze di un qualche significato e se si, con quali costi?

Il secondo ordine di motivi riguarda il drenaggio di risorse che queste esperienze determinano dal sistema della Autonomie Locali verso l'Università. Le risorse delle AA.LL. non sono illimitate e urge un loro razionale utilizzo su altre filiere di intervento (caso spesa sociale). Non possono essere indirizzate verso filiere sulle quali le AA.LL. non hanno competenza e funzione.

Esiste poi il problema della presenza dell'Ateneo nella regione. Siamo d'accordo che l'Ateneo di Perugia debba perdere sempre di più il suo storico connotato perugino ed assumere una identità più marcatamente regionale ed umbra. Ma questo non si realizza concedendosi a qualche campanile in cerca di un blasone da aggiungere al suo stemma. Si realizza dando risposte di qualità alle esigenze della intera collettività regionale e concentrandosi su una presenza fisica nelle due città capoluogo di provincia. Siamo convinti che le ipotesi di sviluppo dell'Ateneo debbano riguardare in primo luogo Terni, dove sono già in atto alcune esperienze significative e dove è opportuno continuare a lavorare per costituire in tempi accettabili una sede di pari dignità rispetto a quella storica di Perugia. Noi riterremmo la realizzazione di una scelta in tal senso uno dei migliori contributi alla crescita della città di Terni, alla crescita della regione tutta e alla unità della regione stessa. E infine pensiamo si farebbe una scelta razionale dell'uso delle risorse e si potrebbe offrire un prodotto di buona qualità.

Non diremo nulla in questa comunicazione sul quinto problema che noi avvertiamo e cioè la gestione del personale e gli accessi al lavoro nell'Università, perché saranno trattate nella comunicazione di Danilo e quindi concludiamo con una precisazione e una richiesta.

Abbiamo svolto e proposto alcune riflessioni sull'Università. Sappiamo bene però che l' Università è struttura complessa e di grandi dimensioni. Essa si compone di molte specificità, di molte differenze quante sono le sue strutture e i suoi operatori. E come in tutte le strutture complesse convivono in essa aree alte per qualità e aree di problematicità e di insufficienza. Conosciamo bene la presenza nell'Ateneo di molte professionalità di grande valore così come di tanti operatori che svolgono il loro compito con serietà, senso pieno della loro funzione e con impegno. Ad essi alcune delle considerazioni che abbiamo svolto potranno apparire ingenerose e perfino ingiuste e ad essi chiariamo che quando si è chiamati a fare una valutazione generale, tra i tanti vettori su cui si esplica l'attività della struttura, bisogna individuare una risultante, quello che è il risultato prevalente. Riteniamo quello da noi indicato il più vicino alla realtà.

Infine, l'Università, con l'elezione del nuovo Rettore, sta entrando in una fase di discussione sui suoi indirizzi futuri e sulle sue scelte per i prossimi anni.

Noi vorremmo che questa fase di discussione si svolgesse con la più ampia partecipazione e con il più ampio coinvolgimento possibile, che non si consumasse nel chiuso di pochi ambienti e tutta per linee interne.

Ma soprattutto vorremmo che si svolgesse su programmi piuttosto che su filiere di interessi interni e particolari.

Pensiamo che chiunque ambirà a condurre nei prossimi anni l'Ateneo debba, tra l'altro, dare risposte anche ai problemi che indicavamo. Debba cioè indicare come risanare e stabilizzare lo stato economico, come costruire una programmazione della attività in sintonia con la Regione, come costruire un rapporto nuovo con gli studenti, rifondando con loro un vero e proprio patto, come aprire anche nella Università un percorso di concertazione con le forze sociali.

Riteniamo queste cose fondamentali per l'Ateneo, per chi vi lavora e vi opera, per chi si accosta ad esso per costruire il proprio percorso professionale e di vita.

La nostra regione sta attraversando una fase particolare della sua storia, una fase in cui deve con determinazione affrontare e risolvere problemi nuovi.

Le novità, che prima richiamavamo, introdotte ormai da tempo dalla globalizzazione dei mercati e quelle apportate più di recente dalla introduzione della moneta unica europea si coniugano infatti in questa fase, anzi diremmo in questi giorni, con le ricadute pratiche delle riforme istituzionali ed economiche europee e nazionali.

L'Umbria uscirà, gradualmente ma inevitabilmente e in pochi anni, dai finanziamenti degli obiettivi comunitari, subendone una ricaduta ben maggiore delle altre regioni del centro-nord perché in misura molto maggiore delle altre ne ha fino ad oggi beneficiato. E contemporaneamente si va attuando la riforma in senso federalista dello Stato, con una ulteriore diminuzione di risorse finanziarie a disposizione della comunità regionale dato che il saldo gettito fiscale regionale - trasferimenti dallo stato ci vede ad oggi ampiamente in deficit.

La nostra regione ha quindi davanti a se due strade: o un declino abbastanza consistente o la capacità, contando massicciamente e più di prima sulle sue risorse, di avviare un rapido processo di crescita economica. Va da se che noi lavoriamo, e da tempo, per il secondo percorso. Ma perché sia possibile realizzarlo è necessario che istituzioni, forze sociali, collettività tutta diano il meglio di se e dispieghino il massimo delle proprie capacità ed energie.

In questo quadro noi vediamo assegnato all'Università un compito di primaria importanza. Vogliamo lavorare tutti concordemente perché sia in grado di assolvervi?