La realizzazione dell'autonomia delle Università, sancita dalla Costituzione si va ormai completando, in particolare: la legge n. 168 del 9 maggio 1989 che riconosce agli atenei l'autonomia statutaria e regolamentare e la legge n.537 del 24 dicembre 1993 sull'autonomia finanziaria, hanno apportato notevoli cambiamenti alla realtà universitaria.

Purtroppo nonostante il lungo periodo di transizione la nostra Università ha dimostrato in generale una scarsa attenzione nell'attuare la fondamentale modifica di atteggiamento necessaria ad applicare la riforma.

L'Ateneo di Perugia è duramente penalizzato:

Ma la penalizzazione è forse ancora più grave su di un altro piano: l'immagine culturale e scientifica dell'Università degli Studi di Perugia, che sta scadendo sempre più, vede infatti un forte disimpegno della classe docente, sicuramente nel suo insieme dotata di risorse valide e con punte d'eccellenza, ma chiusa in ottiche di settore, incapace di guardare in avanti o per lo meno di tenere il passo con le trasformazioni che pur avanzano.

All'Ateneo manca ancora la consapevolezza derivante dalla cultura della programmazione per la finalizzazione economica dei fondi e la cultura dell'autovalutazione, così come non si è ancora presa coscienza della necessità di rifinalizzare i posti in organico sia del personale docente che del personale tecnico-amministrativo-bibliotecario secondo non più ottiche di privilegio di Facoltà, Dipartimento e struttura, ma secondo criteri di funzionalità delle strutture stesse, queste saranno infatti le vere svolte epocali nei comportamenti accademici. Di conseguenza è molto diffusa la tendenza al mantenimento dello status quo, a non modificare nulla, a chiedere la riassegnazione dei "posti" rimasti scoperti. Ognuno vuole la fetta più grossa della torta, ma così, senza programmazione, la torta diventa sempre più piccola.

Tutto ciò pone seri interrogativi sulla possibilità degli organi di Governo dell'Ateneo di gestire la svolta imposta dall'attuazione dell'autonomia universitaria ed il coordinamento fra i sistemi universitari europei. Anche nel bilancio preventivo del 1999 si possono leggere con chiarezza le ricadute negative di queste logiche:

  1. la riduzione delle spese per la formazione del personale tecnico-amministrativo-bibliotecario è quantomeno inopportuna. In un momento di cambiamento radicale come dovrebbe essere quello da vivere nel nostro Ateneo, non è pensabile non riqualificare molti dei soggetti tecnici, amministrativi e bibliotecari operanti nelle varie strutture.
  2. la scomparsa della somma di circa 5,5 miliardi, destinata in passato al personale a tempo determinato, senza una corrispondente integrazione del personale a tempo indeterminato, ci suggerisce curiosi interrogativi: quali esigenze sono venute a cessare per il 1999? Si punta ad altre amene forme di precariato? Forse gli assegnisti di ricerca, fanno solo in parte ricerca, ma svolgono principalmente i compiti degli ex "trimestrali"?
  3. la proposta di "centralizzare" il 70% dei contributi degli studenti e di mettere a disposizione delle Facoltà il rimanente 30% determinerebbe una drastica riduzione delle disponibilità di cassa delle singole strutture. L'Ateneo si dovrebbe preoccupare di controllare che le Facoltà utilizzino in modo efficace ed efficiente i fondi assegnati, e non di recuperare da questi, disponibilità finanziarie per far quadrare il bilancio.
  4. l'impegno finanziario rivolto in modo immediato agli studenti viene diminuito, in perfetta contraddizione con le indicazioni programmatiche relative alla "europeizzazione" dell'Università italiana proposte nel documento Martinotti e nelle note di indirizzo del Ministro. Preoccupa che i fondi destinati agli studenti per iniziative di varia natura da loro proposte siano drasticamente ridotti. Va infatti ricordato che gli investimenti in servizi agli studenti (come ad esempio aule di studio, laboratori di informatica e multimediali, nonché l'intervento per il contenimento dei costi marginali per gli affitti, le mense ed i trasporti) sono indispensabili per sostenere l'ineluttabile competizione fra Atenei che è già in atto, oltre a essere anche oggetto di incentivazione da parte del MURST.

Questa politica di non governo si fa chiara:

Lo SNUR-CGIL è profondamente preoccupato per le sorti di una fra le maggiori realtà occupazionali della nostra Regione. L'UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PERUGIA, rappresenta gran parte dei potenziali di ricerca, di formazione, di cultura, essenziali per lo sviluppo della Regione stessa, è quindi auspicabile che l'Università si apra ad un confronto a tutto campo con gli studenti, con le forze sociali e politiche, con le OO.SS., con la Regione, con le città di Perugia e Terni, perché si possa uscire da ottiche di governo dell'Ateneo così minimaliste e autolesionistiche.

Lo SNUR-CGIL è profondamente preoccupato anche delle sorti dell'altra Università cittadina, L'Università per Stranieri.

Questa Università rappresenta un'immagine positiva della cultura della città in Italia e all'estero che di anno in anno non corrisponde più alla realtà dei fatti.

Bisogna pensare a un progetto di ridefinizione di questa istituzione perché, quanto viene sviluppando sia nei corsi per gli stranieri che vogliano apprendere l'italiano sia nel D.U. e nel Corso di Laurea, non la garantiscono affatto da una flessione delle frequenze sia italiane che straniere.

La concorrenza di altri Atenei – Siena, Trieste, Napoli – si fa fortissima.

La vitalità di questa Istituzione ha ricadute molto incisive sull'economia della città e sulla sua immagine all'estero. Dunque compito della sua salvaguardia è anche dei poteri locali.

La condizione lavorativa del personale tecnico-amministrativo ma anche del personale docente soprattutto nelle fasce deboli risente gravemente di questa precarietà che neppure l'impegno delle OO.SS. è riuscito a contenere, anche per una mancanza di progetto innovativo.

La città e i suoi Organi di Governo non possono disinteressarsi delle sorti delle due Università, perché la flessione del loro valore e delle offerte di qualità che devono dare a chi le frequenta, è un rischio non solo d'immagine ma anche di diminuzione di potenziale economico.

Un aspetto altamente significativo dell'impegno dei poteri locali per la riqualificazione delle Università saranno le risoluzioni che verranno adottate nel nuovo piano urbanistico, per la ricollocazione e l'espansione delle sedi universitarie nella città.

Ci auguriamo che queste decisioni vengano prese in forma trasparente e partecipata sia all'interno delle Università che del Comune, per sfuggire alla sola logica dei fortissimi interessi economici che vi sono coinvolti